QUESTO che state leggendo è un articolo. Vi chiederete perché chi scrive senta la necessita di specificarlo – di solito, gli articoli non si pronunciano sulla loro natura, lo sono prima di tutto perché contemplano le caratteristiche della forma di testo tipica del giornalismo. Beh, chi scrive scrive un articolo, statene certi. La novità sta nell’assenza di novità. Questo è un articolo senza notizia, tanto che sopra al testo potreste titolare “La scomparsa delle notizie” o “Scoperto l’articolo che ha ucciso la notizia” e, se siete particolarmente devoti alla tradizione aurea, inguaribili sostenitori del sensazionalismo, anche “Oggi muore la notizia” aggiungendo un catenaccio di questo tenore: “L’articolo confessa: sono io l’assassino”. Ma se pensaste che chi scrive si stia sforzando di dimostrare che il giornalismo è morto, sbagliate. Miseramente. Questo è un articolo e nessuno potrà dimostrare il contrario, e tantomeno far morire il giornalismo. Anche se scardina tutte le regole che presiedono alla sua scrittura, l’articolo che leggete svolge il suo compito, assolve i suoi doveri. Stamani si è alzato come tutte le mattine e ha ripetuto come ieri gli atti che compie tutti i giorni. All’inizio è apparso sulla pagina a fatica. Stiracchiandosi e sbadigliando. Sul posto di lavoro, ancora stropicciato dal sonno, si è sporto dal foglio. Era spettinato. Non che si pretenda sempre un taglio impeccabile, con la riga leggermente spostata su un lato che dia un senso di eleganza ma non l’impressione di rigidità, che alluda ad una apertura intellettuale ma non a una spregiudicata fiducia verso gli ultimi ritrovati del pensiero; ma all’inizio era impresentabile. Frasi sconnesse, sintassi incespicante e – pecca più grande che si possa incontrare cominciando a leggerlo – l’incipit era floscio. Di quelli che fanno scuotere subito la testa al caposervizio, perché è certo che non catturerà l’attenzione del lettore, non lo inchioderà alla pagina e via così discorrendo lungo il florilegio di amenità sempre ripetute e poco ponderate che il consorzio della stampa riserva con premura ai giovani imbrattacarte in erba. Così ha rintuzzato, un po’ aggrottato si è rattrappito fuori della pagina, nello spazio indefinito della vertigine che anticipa la scrittura, nel deserto della parola che misura la distanza fra l’urgenza della parola e la sua negazione, in una cattedrale di fatica che asserragliandosi si priva di se stessa. L’articolo che state leggendo è uno di quei tipi avventati che ignorano il rischio e la portata delle conseguenze e – lo avrete già capito – ha scelto la prima dimensione della vertigine. Così è tornato sulla pagina, questa volta con maggiore determinazione. Non che sia stato immune da incertezze, grattacapi o interruzioni improvvise nel flusso di pensiero, ma questa volta c’erano i puntelli. Il foglio era ancora punteggiato dei detriti del primo fallimento. Un reliquiario prezioso in cui scovare la griglia del testo (per la verità, lo schema progettato è già stato eluso, ma era servito a dare conforto allo scrittore). E visto che lo scopo non è dare notizie, frugare fra i detriti dello sfortunato tentativo è stato soprattutto scovare lo scopo dell’articolo. Chi scrive si è subito accorto che lo scopo era lo stesso degli articoli che possiedono notizie: anche questo articolo si prefigge di informare. Anzi, l’articolo senza notizie che descrive e spiega l’articolo amplifica la potenza con cui persegue il suo scopo perché lo moltiplica. Informa sulla natura e la genesi di un articolo e sollecita l’emersione della sua essenza, cioè informa se stesso. Infatti, non ve l’ho ancora detto, ma l’articolo sono io. Proprio così, l’articolo che state leggendo è l’autore dell’articolo stesso. In calce non troverete la firma di un giornalista perché l’articolo si scrive da solo. Non solo qui e ora, ma sempre. Siete voi stessi a ratificare il nostro patto quotidiano. Conversate con i vostri colleghi o con il vicino di posto su un autobus e, commentando una notizia letta sul giornale, affermate che “hai visto che storia, ieri ho letto un articolo che paralava di… che diceva di un certo ceffo colpevole di..” Quindi diffidate di quei redattori tronfi che si danno delle arie apponendo artificialmente dei nomi sopra o sotto di me. Oggi è un giorno memorabile perché il giornalismo è uscito allo scoperto. E, finalmente, ho l’opportunità di rivendicare la mia umile esistenza. Per troppo tempo ho lasciato che quest’istinto rimanesse confinato nell’anonimato. Oggi il giornalismo non è più il contenitore inconsistente di vaporosi contenuti. Oggi l’articolo parla dell’articolo scritto dall’articolo. E sotto c’è la mia firma.
l'articolo
venerdì 31 luglio 2009
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