sabato 25 luglio 2009

Sulle orme del Che

FIRENZE - Ha viaggiato 54 anni dopo il mito. Il rivoluzionario barbuto effigiato sulle magliette rosse di milioni di ragazzi. Ne ha ripercorso le tappe, polvere e natura, povertà e allegria, disperazione e bellezza. La stessa passione per la medicina, lo stesso slancio verso gli esseri umani, con l' incoscienza indomita dell' avventuriero, lo sfrontato coraggio di chi ha tutto da perdere e un' utopia da realizzare. Ha mollato tutto - casa, lavoro, amici -, comprato la sua "Poderosa" (una moto Bmw 650) e macinato 55mila chilometri e 12 mesi fra le rovine e le meraviglie di tutta l'America Latina. Una dicotomia lacerante, riccioli neri che si ribellano al vento, occhi verdi e un' idea fissa: esplorare 21 Paesi di uno dei continenti più malati del mondo e scoprirne le fratture, studiare e prendere coscienza delle condizioni di salute del suo popolo, come nel 1952 fece il Che, Ernesto Guevara che ancora chiamavano "El fuser", il furibondo. Salvador Carlucci oggi ha 28 anni, è un italo-nicaraguegno con un adolescenza spesa fra il liceo scientifico Gramsci di Firenze, l' Arno e la nazionale di canottaggio. All'ombra del cupolone del Brunelleschi ha lasciato due genitori orgogliosi, madre nicaraguegna e padre fiorentino, con il cuore che «non lo nego - dice la mamma Reyna Martìnez - batte a sinistra e crede ancora nella rivoluzione. Salvador l'ha respirata fino ai 13 anni anche in Nicaragua, dove è nato, nelle stagioni di pace seguite alla guerra civile del '79». Poi gli anni in Italia, il ritorno nella sua terra d'origine, il trasferimento in California per una laurea in chimica e matematica e una specializzazione in bio-scienze farmacologiche. Infine ha investito tutti i suoi soldi sul Sudamerica, per una circumnavigazione a due ruote a colpi di 300 km al giorno e tappe di una o due settimane in ogni Paese. Un tour partito nel luglio del 2006 e concluso l'anno dopo. Un «folle volo» senza nocchiero né compagni. Salpato dalla California alla volta del Messico, Salvador ha solcato la rete di itinerari sterrati della Panamericana, giù fino ai ripidi tracciati delle Ande, le rapide e i ghiacciai «stupefacenti» della Patagonia, passando le foreste pluviali dell'Amazzonia, i deserti, le favelas del Brasile, le pampas argentine o il Salar di Uyuni, il lago di sale più grande del pianeta, in Bolivia. I suoi "Diari della motocicletta" li ha scritti passo passo su un blog personale (www.salcar.org). Scrive entusiasta di Cuba, «dove ancora rivive la rivoluzione», della giungla intorno al Rio delle Amazzoni e al Rio della Plata, «dove è in atto una deforestazione sfrenata in mano a mafie locali e multinazionali del legno», ma soprattutto scrive di «un progetto pilota per esportare modelli di sviluppo sanitario nei 30 Stati più disastrati del mondo», ci racconta al telefono da Managua, la capitale del Nicaragua, «dove ho appena compiuto un altro viaggio in moto fra le vecchie bananiere degli Stati Uniti, villaggi rurali dimenticati da Dio e dal mondo sulla costa atlantica, poco battuta dalle ong internazionali, attratte dalla ricchezza, dal lusso e dal turismo del Pacifico. Ne ho vista solo una di organizzazioni serie, gestita da una comunità di missionari cristiani. Hanno attrezzato una barca come un ospedale. Sala operatoria, laboratorio d'analisi, farmacia, dormitori per i ricoveri: c' è tutto. Navigano gli affluenti del Rio delle Amazzoni fin che possono, poi raggiungo comunità e tribù con imbarcazioni più piccole». Verso quei nuclei abitati in mezzo alle foreste, alla vegetazione fitta e lussureggiante ma malata di malaria, colera e dengue, sta organizzando spedizioni per consegnare farmaci di base, fornire primo soccorso e cure mediche. Le finanzia organizzando tour in moto simili ai suoi viaggi: «Porto con me turisti non convenzionali, desiderosi di conoscere regioni in cui da soli non potrebbero mai arrivare. Tragitti che non sono solo vacanza ma anche un modo per portare aiuto a comunità che vivono isolate da tutto, dove non esiste la benché minima educazione alle norme igieniche essenziali, dove non arriva acqua potabile ed elettricità, e i bambini muoiono ogni giorno perché il primo ospedale è a una giornata di cammino». L' ultima incursione nel cuore di tenebra del Nicaragua, Salvador l'ha compiuta verso Kansas City, toponimo di un grappolo di baracche di un vecchio caravanserraglio dell' imperialismo Usa. Ha portato antiparassitari, antibiotici, un kit con disinfettanti, garze e altro materiale per ogni nucleo familiare. La sua storia è finita sui maggiori quotidiani stampati aldilà dell' Atlantico e perfino in un servizio della Cnn, che ora circola su You Tube. L' affinità con l' avventura del Che gli ha fatto da trampolino: «Mi sono ispirato al Che avventuriero e scienziato, non all' uomo politico, perché quando di mezzo ci va la politica è sempre un casino». E Salvador non ci ha pensato un attimo: «Sono partito così, in un lampo. Cosa mi porto dentro di quello che ho visto? Bellezze naturali, tanta miseria e qualche brivido. Come quello che ti scorre sulla schiena se la tua moto romba in territorio colombiano, in pieno feudo delle Farc». E di Firenze che ricordi hai? «Gli anni delle occupazioni, delle manifestazioni con i ragazzi. Insomma tutto quello che si respira in una città rossa. E' la mia eredità italiana. In fondo è ancora così, no?».


Pubblicato da Mario Neri su Repubblica Firenze (13/7/2008)

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