Neanche lui si spiega che cosa, «a 91 anni suonati, mi spinga a venire qui tutti i giorni, sotto l' ombrellone» alle soglie del mare per scrutare l' orizzonte. «Chi dice che abbiamo gli occhi sempre puntati sui bagnanti racconta frottole». Davanti al tempio della natura, spiega Giannotti, «si pensa, si respira, più spesso si ricorda». E la sua è una memoria ventosa: si allunga ad ondate fino agli albori del lido dorato, poi d' improvviso sguscia, spruzza, si ravvolge in raffiche di dettagli e cammei. Quanto basta per un racconto fedele - e parziale - dell' evoluzione del Forte che da sempre sfodera lusso e bagliori signorili, cela effimera visibilità e declini repentini.
«I bagnini al Forte sono nati per necessità. In spiaggia venivano le signore con la cuffia e l' ombrellino, tutte coperte dalla testa ai piedi, i figli facevano il bagno e capitava che qualcuno ci lasciasse la pelle». Nacque così il consorzio di categorie che diede vita ai bagni. Famiglie di pescatori, marinai, maestri d' ascia, terrazzani e frontisti, cioè coloro che ancor prima del XX secolo avevano costruito casa in mezzo alle dune di sabbia e poi si ritrovarono un diritto di prelazione sulle onde.
«Residenze che scorgevi aldilà di collinette spinose su una landa desolata che quasi non permetteva di viverci. Al Forte le concessioni demaniali per l' arenile venivano assegnate a queste famiglie, o comunque a chi ne volesse una. Se la famiglia era numerosa il tratto di costa era più ampio. Il nostro era il più esteso, 220 metri. Poi ce la siamo divisa fra gli eredi, ma mica puntavamo sul bagno: eravamo pescatori. Si usciva con la sciabica, il mare era pescoso e quello ero il nostro pane». Nell' immaginario collettivo, l' ospitalità balneare è scolpita nei Cinquanta ruggenti della Capannina e nella rivoluzione del costume agli inizi del boom economico. In realtà - spiega il bagnino - ha origini remote. «Le prime cabine erano capanne di paglia e falaschi» costruite per i villeggianti che chiedevano ai pescatori un riparo per cambiarsi dopo il bagno.
«Le ingurgitava la mareggiata e di quelle che resistevano si facevano grandi falò alla fine dell' estate». Al sole dei Giannotti si scaldavano i Ruffo di Calabria, Paola di Liegi e i Borghese di Roma. «Una volta Zita d' Austria volle per forza uscire nonostante la barca fosse stata pitturata di fresco. Quando tornò a riva aveva il costume a strisce verdi e bianche».
Poi la guerra, tre anni passati su una fregata ormeggiata a Cefalù e le bombe che sventrano il pontile marmifero «dove noi bagnini si andava a fare i tuffi». I vagiti della nuova Repubblica e la maturità fortemarmina degli anni ' 60, anche se era diverso «perché si scendeva in spiaggia alle cinque del mattino per piantare cento ombrelloni che si rimettevano nelle cabine alla sera. Tutti i giorni così».
Giannotti resetta i ricordi, si insinua nelle pinete dei primi incontri galanti con le vacanziere, «dove qualche signore c' è rimasto fregato e gli è toccato sposare una cameriera», fino alla frotta di motoscafi e barchette a vela che si potevano ormeggiare a pochi passi dalla riva. Vorrebbe chiudere con le scorribande giovanili alla Capannina dei Franceschi, ma poi torna ancora indietro, a quello «smorfioso» di Gianni Agnelli, che «a 12 anni possedeva già una macchinina elettrica e noi citrulli che gli si correva dietro perché aveva promesso di farcela provare».
Pubblicato da Mario Neri su Repubblica Firenze (19/7/2009)
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