Fuori dall'epicentro della tragedia e della crisi, che nel pomeriggio, con l' arrivo del premier, si sposta sotto le mura del municipio piuttosto che rimanere fra le macerie e i binari carbonizzati, insieme al lutto e alla compassione per chi ha perso tutto e la vita, si unisce uno stordimento collettivo. Quasi un pauroso e protettivo distacco.
Come quello di Piero, che dietro al bancone di una pizzeria da asporto in piazza Cavour non si stupisce delle dimensioni del dramma né dell' attenzione che i media concentrano sulla sua Viareggio: «Ho visto il telegiornale stamani, alla stazione non ci sono passato. Oggi Viareggio è una città in tilt, non si riesce a circolare...». Eppure di fronte ci sono Alessandra e Cristina, determinate a non passare un secondo di più a maneggiare soldi (pochi) che nel deserto della piazza non ha più senso incassare «di fronte a una catastrofe del genere». In silenzio ripongono nei box sotto i platani le bancarelle con le scarpe e la biancheria: «Non saremmo neanche dovute venire. Dovevamo andare fra la gente senza casa, a dare una mano o anche solo conforto. Non ce la sentiamo più di restare qui», dicono le due commercianti.

Ieri dai pennoni degli stabilimenti le bandiere sventolavano a mezz' asta: «Era il minimo che potessimo fare», dice Francesca al Bagno Dori, ieri disertato dai vacanzieri. Sul molo Alfonso espone mesto l' unica cassetta di pesce della giornata. A mezzogiorno le reti del suo peschereccio erano ancora sgonfie come calzini: «Ho riportato poco, qualche triglia, cicale e spannocchi, ma è ancora tutta qui», dice mostrando il bottino del giorno aggiungendo che «anche il mare ha sentito il botto, e ha avuto paura, sente il dolore». Ma è un cordoglio composto il suo, un' emotività trattenuta. La rabbia per quel treno carico di veleni e fuoco che forse hanno compromesso l' allegria dell' estate e la serenità dei vacanzieri, molti viareggini la sfogano dopo. Urlando al passaggio del premier.
Pubblicato da Mario Neri su Repubblica Firenze (1/7/2009)
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