domenica 26 luglio 2009

Quando il Forte era una spiaggia senza nome

FORTE DEI MARMI - Una soffitta buia, polverosa. Libri, fotografie e vecchi documenti ingialliti dal tempo. Un abbaino da cui riverbera un tenue fascio di luce bianca. Un uomo che monta e smonta una pellicola, come se dipanasse il tempo e la memoria, poi la sua voce: «Forte dei Marmi era una landa deserta, perché era inospitale e perché non permetteva di viverci». Chi si affanna con la storia, l' uomo di questa istantanea è Emilio Tarabella. In quella che molti ricordano come la località vacanziera più signorile d' Italia, associandola agli anni ruggenti, dai nobili soggiorni degli Agnelli e dei Piccolomini ai cumenda lombardi fino a Sapore di sale, lui è un reduce, uno dei pochi depositari della genesi del paese da sempre, nell' immaginario collettivo, cosparso di lusso, di sole e salmastro.

Ed è col suo racconto che si apre Il Forte mi parlò, il documentario di Matteo Raffaelli, regista che dal Forte se ne è andato nel 1999 per trasferirsi a Roma, vicino al grande cinema. Dopo anni di studi, dopo aver diretto film-documentari come A quattro mani con Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli, o aver girato la versione televisiva del Memorie di Adriano di Albertazzi prodotta da Minimumfax per la Rai, Raffaelli è voluto tornare su quelle piagge deserte, per raccontare la storia del paese in cui è nato.

Grazie ai giovani editori versiliesi di Franche Tirature, Sabrina Mattei e Iacopo Cannas, ne è nato un film che verrà presentato il 19 agosto in piazza Fleming (21,30), nella pineta a un passo dal mare e dal municipio. Una narrazione corale, che fissa le origini del mito turistico di uno dei fazzoletti di sabbia più esclusivi d'Italia alla fine dell' 800. «Il Forte è una anomalia del nostro paese. In Italia ogni pietra è consacrata da duemila anni di storia, mentre Forte dei Marmi un secolo fa non esisteva nemmeno. Era un pezzo di spiaggia senza nome, tagliata dalla strada polverosa che volle Michelangelo per condurre al pontile i blocchi di marmo provenienti dalle Apuane».

Così si scopre che i primi turisti arrivarono alla fine del XIX secolo. Erano intellettuali mitteleuropei, pittori, poeti che inseguivano una vita libertaria, convinti di aver scovato in Versilia una nuova Arcadia, ispirati da un ideale panteistico, alla ricerca di una natura selvaggia. «Correvano sulle spiagge nudi, suonavano il pianoforte in riva al mare, costruivano ville nell' intrico della macchia mediterranea delle nostre pinete» racconta Raffaelli. Un mosaico complesso, un racconto senza voce narrante, affidato a un repertorio scovato negli archivi dell' Istituto Luce, nelle cantine e nei vecchi bauli delle famiglie del posto e alle testimonianze dei protagonisti.

Come Ansano Giannarelli per cui la Versilia è «quell' angolo di terra dove allunga le sue dita l'ombra della Pania quando sorge il sole» Oppure come lo scrittore Manlio Cancogni, per cui il viaggio di ritorno da Roma verso le pinete oscure e il mare del Forte «era l' episodio centrale dell' anno. è su questa suggestione che ho cominciato a scrivere». Alle voci si intrecciano le immagini. La sagoma della capanna di un falegname autoctono che i Franceschi trasformarono nella leggendaria sala da ballo spendendo cinquemila lire. La storia di Alaide Mattugini, la fondatrice del primo stabilimento balneare, «perché l' idea di offrire un servizio per accogliere i villeggianti è sorta da una sensibilità femminile».

Enrico Pea seduto all' ombra del quarto platano del caffè Roma con Carrà, Montale e Dazzi, «fuggiti dal Fissi, oggi il Principe, perché erano arrivati Malaparte e Virginia Agnelli e non si sopportavano». Poi gentildonne con la cuffia e l' ombrellino, bambini che mangiano l' uva in spiaggia, sullo sfondo del pontile degli anni ' 20 e ' 30, ormai una promenade per l' estasi del tramonto, cui fa da contrappunto l' iconografia della povertà popolana: il fortino polveroso con le donne con i cesti sulla testa alla fontanella e i buoi col carro in attesa della soma.

Uno spaccato che percorre le guerre, l' invasione nazista, la strage di Sant' Anna e la storia della prima famiglia russa approdata al Forte: la nonna di Alessandra Czeczott, nobildonna in rovina fuggita dalla Rivoluzione d' ottobre, fondatrice della pensione Elena, pioniera dell' accoglienza rivierasca. «Nell' immaginario collettivo si crede che il Forte sia nato con gli Agnelli. Le immagini solari della propaganda fascista nascondono le condizioni di un insediamento in cui fra le due guerre si moriva di fame, dove si campava a pane e olio» dice Raffaelli del suo film, già in dvd nelle librerie versiliesi e da settembre anche in quelle toscane.

Un affresco della società italiana: «Negli anni ' 30 si aprì un dibattito fra i fortemarmini. Si doveva scegliere fra la vocazione turistica e uno sviluppo economico che privilegiasse l'anarchia industriale del marmo. Sapete come è andata».


Pubblicato da Mario Neri su Repubblica Firenze (2/8/2008)

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