domenica 9 agosto 2009

La miniera di mercurio nel cuore delle Apuane

STAZZEMA - Vent'anni fa i ragazzi del paese scendevano al Poggio, sul versante del canale che seguiva la lizza, e si intrufolavano fra i vagoni e le tramogge arrugginite a caccia di vipere e lucertole. I più coraggiosi sfidavano il Profondo. La rete sommersa di quelle grotte dell'Alta Versilia regalava grandi avventure e scoperte d' estate: gocce di metallo vivo, cristalli di cinabro e miracoli di trame rosse e argento intessute al quarzo di un giacimento abbandonato. Fantasticherie di mercurio e minerali che si pensano preziosi.

Quegli stessi ragazzi, a Levigliani, 300 anime arroccate sotto le Apuane nel comune di Stazzema, di quel buio sorpreso da lampi lunari non si sono dimenticati. «Il nostro è un antico borgo di cavatori - dice Emiliano Babboni, presidente di "Sviluppo e futuro", la cooperativa che gestisce le visite guidate al sito minerario - Negli ultimi 6 mesi i lavoratori del marmo hanno aggiunto fatica alla fatica, rinunciando a weekend e a ore di riposo, e senza finanziamenti pubblici abbiamo riportato alla luce la miniera dell' Argento Vivo, un nuovo percorso turistico che si aggiunge al Parco delle Apuane». Qui, a 870 metri d' altitudine, le forze della natura hanno creato anche gli abissi dell' Antro del Corchia, uno dei complessi carsici più grandi d' Europa.

Dopo mille difficoltà le attività della miniera cessarono nel 1970. Se ne fa cenno per la prima volta in un atto del Comune di Pisa del 1153. Carrelli, trivelle, binari, picconi e lampade ad acetilene. Due gallerie illuminate per un tragitto complessivo di 160 metri che porta in un universo remoto, la vita e il lavoro dei minatori riprodotta nei manichini, nei vecchi macchinari e in un' iconografia del sacrificio rinnovata per secoli. Un uomo spinge un vagone, un altro sale su una scala con una cesta piena di pietre. Sul cammino travature in castagno.

«La miniera è sicura – dice Babboni – gli ingegneri hanno messo sostegni in metallo, le travi in legno le abbiamo lasciate perché raccontano la vita dei minatori. Si dice che il castagno sia un legno che canta. Scricchiolava dando avvisaglie di probabili crolli. Vita dura, per gente di poche parole, quella in miniera. Come in cava si lavorava a cottimo, a pane e formaggio», arrampicandosi lungo tunnel inclinati da cui si calava il materiale per il trasporto sui sentieri impervi all' esterno.

Il giacimento è uno dei più antichi d' Italia. Non è mai stato ricco né ha fatto ricco Levigliani, ma è comunque una rarità planetaria: «Lo è per la presenza di mercurio allo stato nativo liquido. Nemmeno nei giacimenti di Almaden (Spagna), da cui nel ' 500 salpavano i carichi di mercurio per l' estrazione dell' argento in Sudamerica, si trovano concentrazioni così alte. Nella maggior parte delle coltivazioni, il metallo veniva ricavato scindendolo dal cinabro, un minerale di mercurio e zolfo che screzia gli scisti di venature sanguigne o si rinviene in cristalli rosso fuoco anche qui. In passato veniva usato anche come pigmento per i codici miniati», spiega Andrea Dini, ricercatore all' istituto di geoscienze al Cnr di Pisa.


«Ci venivamo da piccoli e credevamo di riportare a casa tesori e materia per grandi racconti. In realtà sono rocce originate da fenomeni vulcanici 450 milioni di anni fa e che la terra ha spinto in profondità nel miocene, durante la formazione degli Appennini», dice Emanuele Michelucci, leviglianese che delle scorrerie giovanili nelle insenature del giacimento ha fatto un progetto di vita intraprendendo studi di geologia all’Università di Pisa. La miniera è aperta tutti i giorni, dalle 9,50 alle 18, biglietto 6 euro. Si entra accompagnati da una guida e con un caschetto da minatore (info www.antrocorchia.it o 0584-778405). Ora da Levigliani si scruta l' orizzonte verso le spiagge della Versilia. Si spera che qualcuno, per un giorno, si risparmi dal sole e decida di intraprendere un viaggio nei monti.

Pubblicato da Mario Neri su Repubblica Firenze (08/08/2009)

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