martedì 15 settembre 2009

Tommasi, un uomo tutto uomo

PIETRASANTA - «Marcello sembrava un hidalgo spagnolo, non era tipo incline al compromesso e alle mezze misure. Un uomo tutto di un pezzo, un uomo tutto uomo, che ha vissuto il tragico quotidiano con grande dignità. Un personaggio inattuale per il mondo moderno, un dinosauro dell’esistenza che esprimeva se stesso attraverso una grande arte. E purtroppo di uomini e artisti così non ce ne sono più». Manlio Cancogni conosceva Marcello Tommasi fin da bambino. Parente e amico di tutta la famiglia, lo scrittore versiliese ricorda le lunghe conversazioni, le opere, il linguaggio e la grammatica che l’artista pietrasantino usava nell’arte dimezzata tra Firenze e Pietrasanta, fra la grande città del Rinascimento e la piccola Atene, in cui tornava tutte le estati nella villa di Fiumetto, proprio vicina alla sua sul lungomare.

Che cosa ha significato nella sua vita la presenza di Tommasi?
«Per me è stato prima di tutto un carissimo parente. Ricordo ancora la prima volta in cui lo vidi. Era nato da cinque mesi. Fu nel giugno del 1928, lo stringeva in braccio il padre Leone che era tornato in licenza alla casa di Fiumetto proprio per festeggiare la nascita del primo figlio. L’ho visto crescere e quando divenne un giovanotto cominciarono le nostre lunghe conversazioni. Parlavamo di arte e letteratura. Non era solo un grande artista, ma anche un uomo con un grande bagaglio culturale, che spaziava dal mondo classico a quello contemporaneo».
Era l’ultimo di una dinastia di artisti fra le più importanti in Italia. L’arte era una scintilla iscritta nel suo codice genetico?
«Beh sì. Dal padre ha ereditato la passione per i grandi dei secoli passati, c’è molto di Leone in Marcello. Però non si deve pensare che le sue opere siano state una riproduzione di quelle del padre. Addirittura prima di essere uno scultore, Marcello si dedicò alla pittura diventando anche uno degli allievi migliori di Annigoni. Forse, per una volontà inconscia di creare la propria identità creativa, scelse una strada che lo slegasse dal padre, ma indubbiamente ha imparato molto da lui. Tanto che quando morì Leone, Marcello prese la sua vera via, che era quella della scultura».
La vita di Tommasi è stata segnata da tanti momenti drammatici, come lo hanno cambiato?
«Profondamente. La morte dei fratelli, della nipote e infine quella della moglie, che ha amato teneramente e con passione fino alla fine, l’hanno stravolto. La vita gli ha fatto terra bruciata intorno, ormai viveva per le sue figlie e i nipoti. Eppure Marcello, come Riccardo, era un uomo esuberante, un carattere anarchico per certi versi. Amava circondarsi di persone semplici, una compagnia festosa fatta di gente comune, in cui rintracciava un’umanità che preferiva a certe pose aristocratiche. Un carattere verace e vitale che un po’ l’ha penalizzato».
In che modo?
«Ad esempio, non ha mai avuto un mercante che si occupasse di promuovere la sua immagine presso la critica, come invece aveva saputo fare Riccardo. E si sa, nel mercato dell’arte, contano anche questi aspetti, ma lui intravedeva un fama più grande, pensava che la Storia l’avrebbe riscattato. Non so se sarà così. Oggi l’arte non esiste più. Oggi tutti si proclamano artisti: i pubblicitari, i cantanti rock, perfino un cuoco è diventato un artista. È per questo che Marcello non amava più il mondo d’oggi».
Ma i suoi bronzi non sono solo un tributo e un’imitazione dell’arte antica.
«Certo che no. Marcello non era un sopravvissuto, un artista che viveva nel naufragio del passato. I greci, i manieristi come Pontormo e il Rosso Fiorentino, il Bernini, che lui considerava con spirito paradossale il più grande scultore universale, erano sentiti come depositi di forze morali per la sua riflessione. Al centro c’era la figura umana, l’uomo contemporaneo con i suoi tormenti, e per rappresentarlo si doveva spendere fatica, studio, coltivare la tecnica. Mi sembra questo il messaggio che oggi lascia ai suoi allievi e a chi pensa di intraprendere la via dell’arte. E spero che per questo anche Pietrasanta, che lui contrariamente a quanto si pensa amava ancora moltissimo, gliene sarà riconoscente, gli dedichi il giusto tributo».


Pubblicato da Mario Neri su ilTirreno (30/09/2008)

p.s. pubblico adesso questa intervista a Manlio Cancogni poiché si avvicina l'anniversario della morte di Marcello Tommasi. Nei confronti di Marcello ho un debito di conoscenza e affetto che non riuscirò mai ad estingure, neanche con mille di questi doverosi tributi alla sua memoria.

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